'Un Mistero profano' della Di Mezza: il tanto che c'è e non si vede dietro i Riti di Guardia

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La recensione - Il racconto a margine dei Riti Settennali di Guardia Sanframondi, ‘Un Mistero profano’,
di Filomena Rita Di Mezza, stampato in questo agosto alla vigilia della loro celebrazione, per i tipi di Aessestampa (Euro 10,00), esprime l’esigenza dell’autrice - psicoterapeuta che vive nella vicina Telese dov’è nata - di usare varie tecniche narrative per dire la propria sull’evento (e non solo). Con i suoi Misteri e soprattutto con le centinaia di battenti a sangue che calamitano, sempre più, l’attenzione di studiosi e ricercatori di varie branche culturali, oltre all’accorrere, per la processione finale, di diverse migliaia di curiosi e media (con conseguente, crescente, evitabile spettacolarizzazione).

La Di Mezza, comunque, si guarda bene dall’addentrarsi in valutazioni di tipo antropologico o sociologico sui Riti Penitenziali in onore dell’Assunta. Lei, come scrive nel testo, affronta il fenomeno non per spiegare e giudicare secondo ‘Sapienza’, ma per provare a penetrarne gli aspetti più arcani fidando, piuttosto, sul portato, se non sul recepito, della ‘Esperienza’, attraverso gli spunti forniti dalla fantasia, dalla follia e dal sacro furore, con tanto di espliciti richiami a Federico Fellini, Sigmund Freud e Giordano Bruno.

Più che sul detto, quindi, l’autrice parte e scava nel non detto, si muove dal solo accennato, dall’apparentemente marginale. Come la vicenda accaduta, nel 1841, a tale Maria Giovanna Garofano, solo citata da Abele De Blasio, in un libro postumo del 1961. La donna corse nella Chiesa dov’è la statua dell’Assunta, togliendola dalla nicchia e prendendone il posto e la postura, fin quando non le fu assicurato che sarebbe stata portata lei, in processione, e i carabinieri non la potettero prendere e portarla in carcere.

Circolarmente, attorno a questo episodio si snoda la narrazione, prevalentemente, proposta sotto forma di testo per il teatro, luogo adatto, come forse nessun’altra forma d’espressione artistica, a coinvolgere il destinatario dell’opera, a metterlo in crisi, a scuoterlo dalle vane, tolomaiche certezze, per “far riaffiorare quel mondo sommerso nelle sue forme più originarie, un mondo inquietante, ricco, intimo e straniero nello stesso tempo, che pur ci abita”.

‘Un Mistero profano’ è diviso in tre parti: Confessioni di un Castello visionario, La folle corsa di una cittadina di Guardia tra i Misteri e un Prologo, Dialogo dedicato a Vitangiolo e ai battenti. La bravura dell’autrice sta anche nel fatto che questi segmenti, funzionali al discorso complessivo, stanno bene anche da soli, vivono di vita propria. Come, del resto, i diversi elementi d’ogni singola parte. Una costruzione dell’opera, in tal senso, sancita dal compendio delle quattro illustrazioni di Maurizio Luigi Volpe che impreziosiscono l’ordito, confermando la pluralità, la diversità, come valori posti dall’autrice di continuo al fruitore, a partire dai numerosi attori (protagonisti): il Castello di Guardia, Maria Giovanna, Vitangiolo. La Piccola Donna cieca, il Coro dei Morti, Amelia la ‘Barbonessa’, Ofir, la Cantastorie…

Gli spunti che l’agile volume dà sono veramente tanti, impossibile da ricondurre qui in sintesi, anche di natura filosofica, esistenziale, religiosa (“Si beve Dio e si continua ad aver sete”). Non possono tacersi, però, gli aspetti legati alla femminilità, nella sua più vasta accezione. A partire dal sostrato della venerazione dell’Assunta, dagli avvincenti riferimenti al ritorno nell’utero materno, nella comune gestualità, affettiva e autoconsolatoria (fino all’estremo rifugio di Maria Giovanna nella nicchia a posto dell’Assunta), alle prevalenti, ma soprattutto preminenti, figure di donna, quanto mai necessarie a raccontare qualcuna delle innumerevoli sfaccettature: “Orditi ambigui delle donne. Madonne ovvero madri e donne”… E, poi, i battenti con Vitangiolo che “abbassa lo sguardo ‘La mia donna madonna di un mistero furioso e furiosamente dovrò battere il mio petto’. Battenti d’amore. Attoniti dell’arduo scandalo della donna, dalla notte dei tempi”.
Carlo Panella



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