PNRR al banco di prova su Scuola e lavoro dei giovani

17:15:6 18766 stampa questo articolo
Strasburgo - Parlamento EuropeoStrasburgo - Parlamento Europeo

Lo scopo del Next Generation EU è salvaguardare le future generazioni. Nel nostro Pnrr l’analisi e gli obiettivi per istruzione e ricerca sono chiari, anche se non semplici da realizzare. Meno ben definite invece le politiche per il lavoro.

Un programma per le future generazioni

Nella premessa al Piano nazionale di ripresa e resilienza, Mario Draghi ricorda che “(…) ad essere particolarmente colpiti (ndr, dalla pandemia) sono stati donne e giovani”. Il programma Next Generation Europe, nato nel maggio del 2020, mette a disposizione un ammontare di risorse imponente (750 miliardi di euro) per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme. Per salvaguardare le future generazioni in Europa.

Quali sono dunque le misure a favore dei giovani nel Pnrr presentato al Parlamento?

Giovani, donne e divari geografici (o di cittadinanza) sono i tre obiettivi trasversali che il piano si propone di raggiungere, attraverso ognuna delle sei missioni (digitalizzazione, rivoluzione verde, infrastrutture, istruzione, inclusione, salute) di cui è composto. Ingiusto quindi soffermarsi solo sulle misure specificamente a favore dei giovani. Tuttavia, il recente ricordo della didattica a distanza e l’aumento della disoccupazione e dei Neet (not in education, employment or training) tra i giovani italiani ci induce a focalizzarci su istruzione e inclusione.

I problemi della scuola

Il Pnrr presenta un quadro molto chiaro e preciso della difficile situazione in cui verte l’istruzione in Italia: dalle carenze nell’offerta di servizi per l’infanzia, alla fatiscente edilizia scolastica, alla povertà educativa in alcune zone del paese, alla bassa percentuali di laureati, soprattutto in materie scientifiche (Stem – science, technology, engineering, mathematics), al difficile legame tra scuola e mercato del lavoro, con la non corrispondenza tra le competenze richieste dalle imprese e quelle imparate a scuola. Sono problemi noti e spesso dibattuti. Bene, tuttavia, vederli enunciati, insieme a una lista di misure di intervento, che comprendono diverse riforme e quasi 20 miliardi di investimenti. Importanti risorse sono indirizzate alla creazione di oltre 200mila posti nei nidi e nelle scuole dell’infanzia e all’estensione del tempo pieno scolastico e delle mense, che ci consentirebbero di avvicinarci ai valori medi europei in questi servizi.

Le misure hanno anche il merito di provare ad avere un impatto sulla formazione della persona, sin dalla primissima infanzia, là dove l’effetto è più forte, come mostrato da una ampia letteratura. Bene anche prevedere interventi straordinari personalizzati per quelle scuole che hanno riportato livelli prestazionali critici, al fine di ridurre la povertà scolastica in alcune aree e quindi anche la divergenza geografica. Altrettanto cruciale è l’impegno di investire nel modello di istruzione tecnica e professionale orientandolo verso l’innovazione digitale, attraverso una riforma del sistema degli istituti tecnici superiori, e nell’orientamento attivo nelle scuole secondarie, per incoraggiare il passaggio all’università. Alla voce istruzione, il Pnrr prevede anche la riforma del sistema di reclutamento dei docenti e la creazione di una Scuola di alta formazione che si occupi della formazione di dirigenti scolastici e docenti. Si tratta di obiettivi spesso proposti anche da altri governi, ma che si sono poi arenati nelle contrattazioni sindacali.

Tuttavia, non è credibile pensare di poter migliorare l’istruzione in Italia senza riorganizzare il corpo docente – oggi tra i più anziani d’Europa – e rafforzarne le competenze, soprattutto informatiche e digitali. Per attuare lo spirito del Next Generation Europe, alla voce istruzione e ricerca, dovranno prevalere le esigenze degli studenti, non dei docenti.

Le misure per il lavoro

Se l’analisi e gli obiettivi per istruzione e ricerca sono chiari e condivisibili, ma non per questo semplici, meno ben definite sono le politiche per il lavoro – inserite nella missione “inclusione e coesione”. Gli obiettivi generali prevedono il potenziamento delle politiche attive del mercato del lavoro e della formazione professionale, il rafforzamento dei centri per l’impiego e l’acquisizione di nuove competenze da parte delle nuove generazioni. Anche in questo caso le risorse previste sono ingenti, quasi 7 miliardi di euro. Ai giovani sono dedicati due programmi di investimento, per quasi 1,3 miliardi di euro.

Sistema duale (nel Piano nazionale nuove competenze) e apprendistato sono potenziati per promuovere l’acquisizione di nuove competenze tecniche, che favoriscano l’incontro tra istruzione e mercato del lavoro. Anche il servizio civile universale è incrementato, per consentire a un maggior numero di giovani di accedere a un percorso di apprendimento non formale in aree specifiche, tra le quali protezione civile, patrimonio ambientale, storico, artistico e culturale, agricoltura sociale, tutela dei diritti umani. Anche in questo caso sorgono dubbi sulla effettiva realizzazione dei programmi. Il Sistema duale prevede che le risorse siano erogate dalle regioni per i percorsi di formazione professionale. Le esperienze del passato in merito non sono eccellenti.

Ma forse il maggior aiuto alle future generazioni in Italia è legato all’impatto che le sei missioni del Pnrr riusciranno ad avere su ambiente e crescita economica.

Gli investimenti in digitalizzazione, infrastrutture, istruzione e ricerca saranno cruciali. Ma non meno importanti per favorire la crescita economica saranno le riforme (di contesto, abilitanti e settoriali), come quelle della giustizia e della pubblica amministrazione. Obiettivi che erano già presenti in altri programmi (elettorali). Qualche anno fa, alla presentazione di un programma di governo, Alberto Alesina pose un quesito cruciale. Suonava più o meno così: “programma molto interessante, ma lo hanno già proposto altri prima di voi. Perché pensate di avere successo, dove altri hanno fallito?”. L’interlocutore rimase a bocca aperta: non aveva studiato political economics. Oggi potremmo rispondere che dai tempi del Piano Marshall nessun governo ha avuto tante risorse da utilizzare. Speriamo che basti.

Vincenzo Galasso - professore di Economia Politica presso l'Università Bocconi di Milano - Tratto da www.lavoce.info, per gentile cortesia



Articolo di Lavoro / Commenti