Massimo Cacciari tiene la sua lectio magistralis al Festival Filosofico del Sannio

21:10:1 6879 stampa questo articolo
Massio Cacciari al Festival Filosofico del SannioMassio Cacciari al Festival Filosofico del Sannio

Non siamo tutti uguali. Ma siamo fratelli. Riconoscere la singolarità di ciascuno è alla base del vivere civile del cittadino contemporaneo.

Settecento giovani, prevalentemente liceali, e nel totale in mille hanno assistito alla Lectio Magistralis del professor Massimo Cacciari questo pomeriggio presso il Teatro Massimo in Benevento. Dopo il balletto “I colori della vita”, a cura di Carmen Castiello, ha introdotto i lavori la professoressa Carmela D’Aronzo, presidente di “Stregati da Sophia”, associazione filosofica ormai ben radicata nel nostro territorio e “da esportare”, come auspica Serena Angioli, assessore alle Politiche giovanili e alla Cooperazione europea presso la Regione Campania, perché, come sottolinea la dottoressa Antonella Tartaglia Polcini, docente di Diritto civile presso l’università degli Studi del Sannio, “sia data con occasioni come questa l’opportunità ai giovani di aver cura della propria intelligenza”.

Dal filosofo prestato alla politica viene, come sottolinea la giurista, “una lezione di metodo e di slancio” nel riconoscere l’altro da sé come necessario interlocutore alla propria esistenza. “C’è un valore della vita cui fare riferimento?” La Lectio Magistralis del filosofo inizia così, con una domanda rivolta alla folta platea, e sembra immediatamente collegarsi a quanto riferito ai giornalisti qualche minuto prima di salire sul palco. Interrogato sulle motivazioni del crollo del PD, l’ex sindaco di Venezia sostiene che ad affossare il partito abbia contribuito l’aver affidato a persone e personaggi, e non ai programmi, le sorti di un intero partito politico: “Occorre comprendere le ragioni vere di questa crisi, altrimenti non si potrà mai fare meglio”.

Poi, dal palco, la lectio che segue prende l’avvio da una riflessione sul senso ontologico della vita, ma si presta alla lettura degli eventi politici in corso e del substrato culturale su cui poggiano orientamenti e scelte di chi dovrebbe avere una prospettiva platonica che, dice il filosofo, “dovrebbe essere non orizzontale, ma più ampia e trascendente, dei rapporti interpersonali, nell’ottica del bene comune”.

“Siamo tutti esseri animati, cioè dotati di un’anima”, dice Cacciari, che individua nell’appetito (dal latino ad petere, cioè tendere all’altro, alla relazione) l’istinto alla sopravvivenza, ma rispetto alle formiche, continua, ci distinguiamo per possedere la coscienza dell’appetito. La cupiditas o desiderio, ci distingue dagli altri esseri animali. “E’ un desiderio infinito, mai appagato, che ci rende simili all’Ulisse di Dante piuttosto che a quello Di Omero”. La cupiditas, o la voglia di andare lontano, ci caratterizza e ci ha spinto verso lo spazio o “a riveder le stelle” . Il desiderio ha trasposto sul piano spirituale quello che agli albori riconoscevamo come mero appetito.

“E’ un istinto del tutto naturale” - riferisce Cacciari - ”insito in tutti gli esseri umani che, nella ricerca della propria realizzazione rischiano, per dirla con Kant, di fare dell’altro uno strumento per la propria realizzazione”. Nel tentare di attuare il proprio personale disegno, a scapito degli altri, si rischia l’autodistruzione. L’invito del filosofo è, perciò a convincere l’altro sulla bontà dei propri disegni. “Non conosce il proprio bene chi non cerca di coinvolgere l’altro sugli stessi obiettivi”.

Trasformare l’ hostis (nemico) in hospes (ospite), come intuirono già gli antichi romani anche con un’assonanza fonetica, significa evitare la guerra, che non è solo da intendere come massacro, ma anche come annichilimento della persona. Dunque, procede Cacciari, “nulla è garantito nella vita, non crediate ai demagoghi”. Tutto si costruisce, dice, a partire dal riconoscimento della individualità irriducibile della persona, che non è mero frutto della somma delle parti e neanche della sua causa iniziale. Nel riconoscere l’altro nel suo unicum sta la successiva considerazione di non poter mai usare l’altro solo come un mezzo per appagare il proprio desiderio. “Da questa prospettiva ontologica può nascere un’etica che non si fondi sulla retorica, né sui moralismi. Questo è il compito della filosofia: veicolare il ragionamento”.

Sonia Caputo - Carmen Chiara Camarca



Articolo di Persone / Commenti