Rapporto Svimez, Sud alla deriva. Paese sempre piu' diviso e diseguale

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Per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo dove il divario tra Centro-Nord e Sud nel 2014 è ai livelli del 2000. Questa la fotografia dell’economia del Mezzogiorno nel Rapporto SVIMEZ 2015 anticipato oggi a Roma.

Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento. Nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa.

Calano le nascite, le occupazioni e i consumi. Al sud una persona su tre è a rischio povertà a differenza del Nord una su dieci. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%).

Negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%. Il dato più allarmante riguarda gli stipendi: quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.

In base a valutazioni SVIMEZ nel 2014 il Pil del Mezzogiorno per il settimo anno consecutivo registra segno negativo, a testimonianza della permanente criticità dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2014 è dovuto soprattutto ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti.

La crisi nel 2014 si attenua nella maggior parte delle regioni del Centro-Nord, molto meno in tutte quelle del Sud
A livello regionale nel 2014 segno negativo per quindici regioni italiane su venti; si distinguono soltanto le Marche quasi stazionarie (+0,1%), lo +0,3% dell’Emilia Romagna e del Trentino Alto Adige, +0,4% del Veneto. Miglior performance in assoluto a livello nazionale per il Friuli Venezia Giulia, +0,8%.

Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -0,2% della Calabria e il -1,7% dell’Abruzzo, fanalino di coda nazionale. In posizione intermedia la Basilicata (-0,7%), il Molise (-0,8%), la Campania (-1,2%). Giù anche la Sicilia (-1,3%), e Puglia e Sardegna, allineate a -1,6%. G

Per capire la gravità della situazione del Sud Italia basti pensare che nel periodo 2001-2014 il Sud molto peggio della Grecia. Dal 2001 al 2014 il tasso di crescita cumulato è stato + 15,7% in Germania, +21,4% in Spagna, + 16,3% in Francia. Negativa la Grecia, con -1,7%, ma mai quanto il Sud, che, con -9,4% tira giù al ribasso il dato nazionale (-1,1%), contro il +1,5% del Centro-Nord.

Le Regioni più ricche e quelle più povere
Nel 2014 la regione più ricca è stato il Trentino Alto Adige, con 37.665 euro, seguito dalle Valle d’Aosta (36.183), dalla Lombardia (35.770), l’Emilia Romagna (33.107 euro) e il Lazio (30.750 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (22.927 euro); seguono la Sardegna (18.808), la Basilicata (18.230 euro), il Molise (18.222 euro), la Puglia (16.366), la Campania (16.335), la Sicilia (16.283).

La regione più povera è la Calabria, con 15.807 euro. Il divario tra la regione più ricca, il Trentino Alto Adige, e la più povera, la Calabria, è stato nel 2014 pari a quasi 22mila euro.

I consumi continuano a calare al Sud, mentre riprendono a crescere nel resto del Paese
I consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, continuando a ridursi nel 2014 dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. In generale nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord.

Significativo e preoccupante anche il crollo della spesa delle famiglie relativo agli altri “beni e servizi”, che racchiudono, come indicato, i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: -18,4% al Sud, oltre tre volte in più rispetto al Centro-Nord (-5,5%)

In discesa la capacità produttiva e manifatturiero
Nel 2014 a livello nazionale il valore aggiunto del manifatturiero è diminuito dello 0,4% rispetto al 2013, quale media tra il -0,1% del Centro-Nord e il -2,7% del Sud. A pesare, ancora una volta, soprattutto il Mezzogiorno: dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%).

In deciso ribasso anche la capacità produttiva; rispetto ai livelli pre crisi il Sud ha perso oltre il 30%, contro il -17% del Centro-Nord e il -5% della media della Ue a 28. Tra il 2007 e il 2013 è sceso anche lo stock di capitale lordo, -7,4% al Sud, + 3,1% nel resto del Paese. Quanto agli occupati, nel 2014 gli addetti al comparto scendono dello 0,2% al Sud contro il +0% dell’altra ripartizione. Nell’intero periodo 2008-2014, comunque, la caduta dell’occupazione è stata di oltre il -20% al Sud, contro il -13,4% del Centro-Nord.

In continua discesa anche la produttività del manifatturiero meridionale, sceso al 58,2% del Centro-Nord nel 2014 (nel 2000 era pari al 74,5% dell’altra ripartizione). Negative al Sud nel 2014 anche le esportazioni, -4,8%, che sono cresciute invece nel Centro-Nord (+3%).

Occupazione
Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.

Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2014 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 70% delle perdite determinate dalla crisi.

Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila). Il Sud, invece, ne ha persi 45mila. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna così a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat.

Tornare indietro ai livelli di quasi quarant’anni fa testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. Segnali di un debole miglioramento nell’ultimo periodo: tra il primo trimestre del 2014 e quello del 2015 gli occupati sono saliti in Italia di 133mila unità, di cui 47mila al Sud e 86mila al CentroNord.

In calo le persone in cerca di occupazione, scese in Italia nel primo trimestre 2015 a 3 milioni 302mila unità, 145mila in meno rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda le donne al Sud lavora solo una giovane su cinque . Le donne continuano a lavorare poco: nel 2014 a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 51% nell’Ue a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno è fermo al 20,8%. Ancora peggio se si osserva l’occupazione delle giovani donne under 34: a fronte di una media italiana del 34% (in cui il Centro-Nord arriva al 42,3%) e di una europea a 28 del 51%, il Sud si ferma al 20,8%. Tra i 15 e i 34 anni è quindi occupata al Sud solo una donna su 5. Dal 2008 al 2014, inoltre, i posti di lavoro per le donne sono cresciute di 135mila unità al Centro-Nord, mentre sono scesi di 71mila al Sud.

Crescono nel periodo in questione del 14% le professioni non qualificate, mentre diminuiscono del 10% le qualificate.Continua l’andamento contrapposto dell’occupazione tra i giovani e i meno giovani. I primi, under 34, hanno visto perdere in Italia dal 2008 al 2014 oltre 1 milione e 900mila posti di lavoro, pari a -27,7%; quasi il -32% al Sud.

Il Sud negli anni 2008-2014 perde 622mila posti di lavoro tra gli under 34(-31,9%) e ne guadagna 239mila negli over 55. Il tasso di disoccupazione arriva nel 2014 al 12,7% in Italia, quale media tra il 9,5% del Centro-Nord e il 20,5% del Sud. Colpiti ancora i più giovani: gli under 24 nel 2014 registrano un tasso di disoccupazione del 35,5% nel Centro-Nord e quasi del 56% al Sud. In più, rispetto alla media europea a 28 del 76%, i giovani diplomati e laureati italiani presentano un tasso di occupazione di oltre 30 punti più basso, pari al 45%.

Si inizia a credere che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata. I 3 milioni 512mila giovani Neet (Not in education, employment or training) nel 2014, sono aumentati di oltre il 25% rispetto al 2008. Di questi, quasi due milioni sono donne, e quasi due milioni sono meridionali.

Andamento demografico in picchiata, crollano le nascite
Dal 2001 al 2014 la popolazione è cresciuta a livello nazionale di circa 3,8 milioni, di cui 3,4 milioni al Centro-Nord e 389mila al Sud. In dieci anni, dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione 667mila persone, rientrate 923mila, con un saldo migratorio netto di 744mila persone, di cui 526mila under 34 e 205mila laureati. Il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica, e inferiore comunque all’1,43 del Centro-Nord.

Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174mila nascite, il valore più basso dall’Unità d’Italia; nel 1862 i nati furono 391mila, 217mila in più di oggi. Nascite in calo anche al Centro-Nord e, per la prima volta, anche nelle coppie con almeno un genitore straniero, che in precedenza avevano invece contribuito ad alimentare la ripresa della natalità nell’area. Il Sud sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, a fronte di una crescita di 4,6 milioni nel Centro-Nord, arrivando così a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%.

Allarme povertà: una persona su tre a rischio al Sud, una su dieci al Nord 
In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La percentuale di famiglie in povertà assoluta sul totale delle famiglie è aumentata al Sud nel 2014 rispetto al 2011 del 2,2% (passando dal 6,4% all’8,6%) contro il +1,1% del Centro-Nord (dal 3,3% al 4,4%). 

Nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511mila a 704mila al Sud e da 570mila a 766mila al Centro-Nord. A livello di reddito, guadagna meno di 12mila euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord. Particolarmente pesante la situazione in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%). 



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