Italiani senza cittadinanza: La storia di Sonny e di una legge che lascia fuori due milioni di persone

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Chi nasce in Italia da genitori stranieri o cresce nel Paese fin da piccolo non ha diritto automatico alla cittadinanza. La legge, risalente a trent'anni fa, continua a penalizzare milioni di persone, come il caso di Sonny Olumati dimostra.

In Italia, la cittadinanza è legata principalmente al principio dello ius sanguinis, ovvero il diritto di cittadinanza basato sulla discendenza. In altre parole, chi nasce da genitori italiani è automaticamente cittadino, indipendentemente dal luogo di nascita.

Tuttavia, per chi nasce da genitori stranieri sul territorio italiano, il percorso verso la cittadinanza è molto più complicato. Questo sistema, che risale a una legge del 1992, penalizza gravemente almeno due milioni di persone cresciute in Italia, ma che si trovano senza la possibilità di considerarsi ufficialmente italiani.

Tra questi c’è Sonny Olumati, che negli anni è diventato un volto simbolo di questa lotta.

La storia di Sonny Olumati

Sonny Olumati, ballerino, attivista e conduttore televisivo, è nato a Roma da genitori nigeriani nel 1988. Cresciuto in Italia, ha frequentato scuole italiane, imparato la lingua e condiviso la cultura e i valori della società italiana.

Nonostante questo, per lo Stato italiano non è considerato cittadino fino al raggiungimento dei 18 anni, momento in cui ha potuto richiedere la cittadinanza, ma solo dopo un lungo e complesso iter burocratico.

Olumati ha spesso raccontato pubblicamente il senso di frustrazione che ha provato nel crescere in un paese che considerava casa, ma senza essere riconosciuto ufficialmente come uno dei suoi cittadini. La sua esperienza è condivisa da migliaia di giovani italiani di seconda generazione che, pur sentendosi italiani a tutti gli effetti, non godono degli stessi diritti di chi ha il passaporto italiano.

Sonny ha fatto dell'attivismo uno dei suoi principali impegni, diventando una delle voci principali del movimento per il riconoscimento dei diritti dei "nuovi italiani", quei cittadini di fatto, ma non di diritto, che chiedono una riforma della legge sulla cittadinanza.

La legge sulla cittadinanza: un sistema vecchio di trent’anni

La legge attualmente in vigore in Italia è il Testo Unico della Cittadinanza del 1992, una normativa che rispecchia una visione ormai superata del fenomeno migratorio e delle dinamiche sociali. Il principio dello ius sanguinis lascia fuori coloro che, pur nati e cresciuti in Italia, non sono figli di cittadini italiani. Questo sistema crea una frattura tra le nuove generazioni di origine straniera, cresciute in Italia, e il paese che considerano casa.

Secondo la legge, i figli di cittadini stranieri nati in Italia possono richiedere la cittadinanza italiana solo entro un anno dal compimento dei 18 anni, dimostrando di aver risieduto legalmente e ininterrottamente nel Paese. Tuttavia, il processo è spesso lungo e complicato, e la cittadinanza non è garantita, poiché la richiesta può essere respinta in base a vari fattori, tra cui problematiche amministrative o mancanza di requisiti formali. Il risultato è che migliaia di giovani che si sentono italiani si trovano a vivere in una sorta di limbo giuridico.

L’impatto sociale e personale

Per chi è nato e cresciuto in Italia, la cittadinanza non è solo una questione di documenti, ma un riconoscimento del proprio legame con il paese in cui è cresciuto. La mancanza di cittadinanza comporta numerose limitazioni, tra cui l’impossibilità di partecipare pienamente alla vita politica, di accedere a determinati lavori pubblici o di ottenere borse di studio e altri benefici riservati ai cittadini italiani. Per molte persone, la non cittadinanza è anche un segnale di esclusione e di mancato riconoscimento del loro contributo alla società italiana.

Questo sentimento di esclusione si riflette anche nell’identità personale. Molti giovani di seconda generazione vivono in una contraddizione costante: si sentono italiani, ma lo Stato non li riconosce come tali. Come Sonny Olumati ha sottolineato in numerose interviste, l’assenza di cittadinanza può portare a una sensazione di disconnessione rispetto al paese che si considera casa.

Il dibattito politico: tra ius soli e ius culturae

Negli ultimi anni, il dibattito sulla cittadinanza si è intensificato. Da tempo si discute di riformare la legge del 1992 introducendo il cosiddetto ius soli o il ius culturae. Il primo modello garantirebbe la cittadinanza a chiunque nasca sul suolo italiano, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Il ius culturae, invece, concederebbe la cittadinanza a coloro che hanno completato un ciclo scolastico in Italia, a prescindere dal luogo di nascita.

Tuttavia, entrambe le proposte hanno incontrato forti resistenze politiche, in particolare da parte di movimenti e partiti di destra, che vedono nella riforma un rischio per l’identità nazionale e per la gestione dell’immigrazione. Nel frattempo, milioni di persone come Sonny Olumati continuano a lottare per un riconoscimento che appare sempre più necessario in un mondo globalizzato e interconnesso.

La storia di Sonny Olumati è solo una delle tante che mettono in evidenza le problematiche di una legge sulla cittadinanza ormai superata. In un Paese che si definisce moderno e inclusivo, il mancato riconoscimento della cittadinanza per coloro che nascono o crescono in Italia appare come una grave mancanza. Le discussioni sullo ius soli e lo ius culturae sono più attuali che mai, e il futuro dei cosiddetti "nuovi italiani" dipende dalla capacità della politica di rispondere a queste sfide in modo equo e inclusivo.



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