Tra saldi e grande distribuzione. La salute del commercio a Benevento secondo Alviggi

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Gianluca Alviggi, presidente provinciale ConfesercentiGianluca Alviggi, presidente provinciale Confesercenti

A quindici giorni circa dall’avvio dei saldi ne facciamo un bilancio con il Presidente Confesercenti Provinciale del Sannio Gianluca Alviggi, toccando nell'intervista anche altri temi nevralgici per il settore: grande distribuzione ed area pedonale.

“Meglio fare bilancio a lungo termine quando si parla di saldi” - esordisce Alviggi - “Potrebbe essere fuorviante basarsi sulla corsa iniziale. Il saldo non è più un momento di attesa o di appeal commerciale. Non lo è più da quando sono comparsi gli outlet e le piattaforme online. Anche la nuova normativa sulla vendita promozionale, che termina alla fine di giugno, di fatto, con l’inizio dei saldi, confonde il cliente e contribuisce allo svilimento del momento dei saldi”.

Qual è la situazione di Benevento rispetto al resto della Campania?

E’ un momento di totale recessione. A Napoli chiudono circa seicento esercizi all’anno… può immaginare quanto sia critica la nostra situazione: una realtà in cui lo sviluppo del settore commerciale è pressoché nullo. In particolare nel centro storico della città.

Quanto incide la presenza dei centri commerciali?

Abbiamo strategie e target diversi. Farei un distinguo tra la piattaforma della grande distribuzione e il negozio di vicinato. La prima mira ad una vendita diversa, anzi, direi di impulso. Lì può attrarre il prezzo super scontato, che può nascondere un prodotto anche magari difettato o non più attuale. Il consumatore dovrebbe riflettere su questo ma non lo fa. Il consumatore oggi non è neanche qualitativamente attento, perché il budget di spesa è sceso tanto che compra quello che può comprare non quello che desidera comprare. Ci si illude che quello che si compra a basso prezzo sia di qualità. Ma non è cosi. Difficilmente la gente guarda alla provenienza della calzatura. Il più delle volte non è un prodotto italiano ma questo non fa più la differenza.

Quali sono i vantaggi di quello che lei definisce negozio di vicinato?

Il negozio con metratura più piccola, ubicato in città, non può offrire un prodotto che vada oltre il trenta per cento di sconto, è tecnicamente impossibile. Ma è capace di offrire un servizio diverso, anche sociale. La gente entra, si siede, talvolta anche solo per curiosità o per rigenerarsi in una giornata di afa. Lo capisci, ma fa parte del gioco, della cultura connessa al negozio tradizionale. Perdere la vendita tradizionale significa perdere una forma di cultura. Oggi è in crisi il rapporto dialogico col cliente, che ti chiedeva consiglio sul colore della scarpa da abbinare all’abito.

Creare movida può aiutare il commercio nel centro storico?

No. Non ci si può basare su azioni estemporanee. Occorre un’operazione di razionalizzazione. Occorre ridare vita al Corso Garibaldi, fornire motivi per frequentarlo in orari di apertura negozi. Una volta c’erano uffici postali, banche, nei vicoli artigiani che sono stati finanziati per spostarsi dal centro storico. 

Come pensa si possa rinunciare all’area pedonale?

Il Corso Garibaldi non è di fatto un’area pedonale. Appare piuttosto una pista ciclabile con biciclette tradizionali e a motore, lanciate a velocità. Le auto non possono circolare ma possono farlo quelle dei residenti e i camion che devono scaricare la merce. 

Quali sono le sue proposte allora?

Dobbiamo guardare alla Benevento di dieci anni fa, quando c’era un sano traffico nevralgico, c’era la possibilità di sostare e la tranquillità di arrivare dove si voleva. Non si può pensare di fare di tutto il centro storico un’isola verde senza arrecare sofferenza al commercio. Questo crea desertificazione e centrifugamente si spinge il potenziale cliente all’esterno della città. In molti Paesi europei e nel mondo anglosassone, patria delle prime cittadelle commerciali delle grandi distribuzioni, si sta incentivando nuovamente il commercio di vicinato nei centri storici e all’interno dei nuclei cittadini. Addirittura si stanziano fondi per ripristinare il commercio tradizionale. Tra l’altro a Roma, in via Condotti, a Napoli in via Calabritto, a Firenze in via dei Calzolai, si circola in alcuni orari.
Si pensi anche allo scenario che verrebbe a prospettarsi anche in termini sociali se azzerassimo domani il commercio nel nostro centro storico. Qui la manutenzione delle strade, in termini illuminazione, di pulizia e sorveglianza è affidata ai commercianti. Anche il monumento dell’Unesco non avrebbe vita: è quello che vi ruota intorno che ne fa un patrimonio storico e culturale. Occorre ritornare ad una ZTL più limitata con prefestivo e festivo pedonale.

Tutte considerazioni che chiamano in causa la politica cittadina. Cosa chiederebbe alla nuova Amministrazione?

Tornerei ad un tavolo di opinione costruttivo in cui imprenditori e autorità politiche preposte possano studiare nuove misure per la valorizzazione commerciale della città. Si spera nel nuovo sindaco, tecnico di lungo corso e di vedute aperte.

Sonia Caputo



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