L’Europa politica e sociale si interroga in vista del summit sociale d’ottobre sul tema del “lavoro distaccato”.
Il lavoratore “distaccato” è colui che per un periodo limitato, è inviato dal datore di lavoro a prestare un servizio in un altro Stato membro.La direttiva 71 del 1996 che regola questo ambito fu concepita in un quadro economico e politico molto diverso dall’attuale e va rifomata secondo Parigi, Berlino e Vienna che chiedono maggiori garanzie per i loro lavoratori.
L’attuale regolamentazione favorisce il “fenomeno del dumping sociale”, perché si ispira al principio secondo cui al lavoratore distaccato si applicano le norme del paese d’origine. I lavoratori dell’Europa orientale che vengono inviati nei paesi dell’Europa occidentale, costano meno di questi ultimi e verrebbero dunque preferiti.
Attualmente, infatti, vi sono casi in cui c‘è uno scarto tra i salari che può arrivare sino al 50%.Un tema ampiamente cavalcato dalle formazioni xenofope e antieuropeiste in molti Paesi d’Europa compresa la Francia. Sul tema Parigi è sostenuta con forza da Vienna che punta il dito contro i “lavoratori stranieri”, a causa dei quali, dice, la disoccupazione nel Paese non è diminuita nonostante la creazione di nuovi posti di lavoro.
Restano ostili a questo progetto di riforma Estonia, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania. La Slovacchia sembra avere aperto qualche spiraglio. La proposta di revisione già avanzata da Bruxelles è considerata poco incisiva da Parigi, Macron fresco d’insediamento l’ha bloccata nel maggio scorso.
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