Campolattaro: 'Il brigantaggio dell'Alto Tammaro', una storia tutta da approfondire

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Continuano gli appuntamenti culturali su “La famiglia De Agostini a Campolattaro (1813-2013)–Due secoli di vicende e di protagonisti”, promossi dal Centro culturale per lo studio della civiltà contadina nel Sannio. L’incontro di sabato 6 luglio è stato dedicato al tema “Il brigantaggio nell’Alto Tammaro”, con un convegno di studi a cui hanno partecipato illustri relatori oltre ad un pubblico di studiosi e ricercatori. A moderare i lavori, dopo i saluti del Sindaco di Campolattaro, Pasquale Narciso, il giornalista Francescco Morante: “Da circa trent’anni il Centro culturale di Campolattaro ha catturato l’interesse di studiosi e appassionati di storia locale, che s’incontrano periodicamente per discutere argomenti molto interessanti: la sua produzione editoriale, dà proprio la misura e la dimensione della preziosa attività che il Centro svolge in questo territorio”. La prima relazione, sul tema “L’Alto Tammaro dal 1799 al decennio francese”, è stata di Francesco Barra, dell’Università di Salerno: "Parliamo di un tema universale che percorre tutta la storia del Mezzogiorno, dalla guerra del Vespro (fine XIII sec.) fino al decennio successivo all'unità d'Italia. Siamo di fronte ad un fenomeno di lunga durata, estremamente complesso e articolato, ma di segno politico e sociale completamente diverso. Lo stesso brigantaggio post unitario, non è quel monoblocco che si descrive spesso, ma ha una sua origine e modalità, tempi, svolgimenti e composizioni molto diversi dal 1860 agli anni successivi. Pontelandolfo e Campolattaro sono i due casi significativi di questa vicenda, che ci consente, con un’analisi dal basso, di verificare quello che il Novantanove ha rappresentato per il Regno di Napoli e per il Mezzogiorno intero". In particolare, una delle motivazioni forti è stata la "fiscalità di antico regime, che gravava prevalentemente sui non possidenti: sul lavoro e sulle braccia. Questo ci dà la misura di come, in quel momento particolare, la fiscalità fosse l'anello debole per far saltare l'intero sistema, perché determina una insorgenza generalizzata. E se localizziamo questi grandi fenomeni storici in un contesto molto vicino e molto piccolo, possiamo capire come il 1799 sia uno specchio che ci aiuta a capire, dal mondo delle province e dei paesi interni del Mezzogiorno, la profondità, la vastità e la natura della crisi, che non è soltanto una crisi congiunturale, né una crisi politica o tanto meno dinastica, ma è qualcosa che fa precipitare una serie di turbolenze, di contraddizioni, di problematiche. Che in parte saranno risolte -però con il ferro e con il sangue- nel decennio napoleonico: con la repressione, da un lato di quello che i francesi chiameranno impropriamente il brigantaggio, ma dall'altro lato con l'avvio di riforme strutturali, a cominciare dalla riforma della Pubblica amministrazione, l'organizzazione della tassazione, la divisione dei Demani. Quindi questa grande modernizzazione del Mezzogiorno darà frutti, ma durerà pochi decenni, perché quando a partire dagli anni ‘40 il motore demografico si rimetterà possentemente in movimento e allo stesso tempo una crisi depressiva internazionale si manifesterà, è chiaro che tutti questi fenomeni verranno a ripresentarsi, ancora una volta drammaticamente irrisolti, nel ‘60-‘61 con gli effetti che conosciamo". È stata poi la volte del dottore Enrico De Agostini, diplomatico di carriera, sul tema “Sacco e Foco, Giovanni e Giosuè de Agostini e il Brigantaggio nell’Alto Tammaro”: "L’8, 9 e 10 agosto 1861 Campolattaro viene invasa da una comitiva di briganti e saccheggiata senza pietà. Molte case dei notabili vengono depredate e un enorme patrimonio storico viene dato alle fiamme. Se oggi disponiamo del manoscritto al quale ho attinto a piene man,i è perché Giosuè de Agostini lo scrisse dopo del 1861, cosciente dell’importanza di trasmettere la memoria d quei fatti alle generazioni successive. Non potendo salvare le antiche carte date alle fiamme, lui le riscrive ottenendo così sui briganti una vittoria ancor più vera e significativa di quella inflitta dalle armi prima e dalla giustizia poi. C’è bisogno, dunque, di una puntuale e documentata ricostruzione storica delle nostre radici". La seconda relazione è stata invece affidata a Padre Davide Fernando Panella – “I fatti di Pontelandolfo e Casalduni del 1861 nei documenti parrocchiali”- che ha iniziato leggendo un articolo di giornale di pochi giorni fa, dove si riportava la seguente frase "un tragico destino condannò ben mille innocenti al rogo". Ancora si scrive questo: sui morti, assolutamente non si può fare ironia!. I fatti di Pontelandolfo, padre Panella li ha descritti attraverso l’immagine di Giobbe, l'uomo della sofferenza. "A parlare devono essere i documenti: li dobbiamo strappare dal silenzio, perché sono parole che non devono più essere vinte dal silenzio. I documenti parlano, e attraverso i documenti parrocchiali di prima mano consultati, scritti nell'immediato se non il giorno stesso, la ricerca è finita". E ancora: "Dobbiamo smetterla di mettere gli uni contro gli altri, piemontesi e borbonici: nei documenti non si parla mai di strage, non si parla mai di eccidio, si parla dell'incendio del paese e del saccheggio. Questi sono i termini che descrivono ciò che è successo in quei giorni". A conclusione, padre Panella ha dato lettura di due testimonianze, che citano la stessa persona: "Maria Izzo era la più bella, erano tanti a volerla tra i fratelli d'Italia, così forse per guadagnare tempo la legarono ad un albero, nuda con le gambe alzate e aperte, finché uno la finì affondandole la baionetta nella pancia". Ma poi in un altro documento si dice così: “Maria Izzo di Pontelandolfo, di anni 94, morta arsa nel giorno dell'incendio della propria casa”. Ogni commento mi sembra inutile. Uccisa nuovamente da parte di chi non rispetta coloro che in quei drammatici giorni perse la propria vita veramente". Le conclusioni sono state affidate al Direttore del Centro, prof. Annibale Laudato, sul tema: “I fatto del 1861 di Campolattaro e Pontelandolfo in memorie di famiglie”. "Ho qui due documenti che confermano quanto detto da Barra, cioè lo stato di disagio delle popolazioni locali: il disagio dovuto ad elementi di carattere economico, più che di carattere politico, si mescola, poi, ad eventi e fatti di delinquenza ordinari. Io ho un documento originale, una memoria di zio Benedetto, che aveva preparato per Giuseppe Iadanza fu Tommaso, dell'agosto del 1861. Questo documento testimonia come il momento era davvero difficilissimo. La lotta contro il brigantaggio si è trascinata per molti anni e ha portato allo sfruttamento di una situazione di controllo da parte dei piemontesi su questo territorio, sulle zone del Mezzogiorno; poi c'è stata una letteratura diversa, che ci ha fatto vedere, non più come terra di briganti, ma un Mezzogiorno ricco di risorse, di attività. Insomma, qualcosa che andava rivalutato: il Sud visto non più come terra di briganti, ma terra di lavoratori onesti. Gente che però ha dovuto, per ragioni di esistenza e sussistenza, emigrare: sono circa 15 milioni d’italiani, tra la fine dell'800 e l’inizio del ‘900".



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