Analisi. Le misure anti-Covid che funzionano. Tre regioni e una provincia confronto
10:50:24 6944Il lockdown è stato inutile? Il confronto dell’andamento dei decessi in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e provincia di Trento mostra che le restrizioni alla mobilità e alle attività economiche hanno permesso di arginare la circolazione del coronavirus.
La polemica sul lockdown
A partire da marzo 2020 l’Italia è stata soggetta a varie restrizioni per contenere la circolazione del coronavirus. A più riprese, però, la loro efficacia è stata messa in dubbio. Trattandosi di misure che provocano effetti rilevanti – economici e più in generale nelle relazioni sociali – non sorprende che nell’opinione pubblica si sia formata una corrente che le avversa.
Lo scorso aprile è stato pubblicato un articolo scientifico, già circolato in forma provvisoria diversi mesi prima, che ha ridato forza agli oppositori dei provvedimenti di restrizione. Gli autori riassumono così i loro risultati: “(…) non troviamo alcun effetto benefico chiaro e significativo degli interventi non farmaceutici (più restrittivi) sulla crescita dei casi in nessun paese (…). Sebbene non si possano escludere piccoli benefici degli Npi più restrittivi, non ne troviamo di significativi sulla crescita dei casi. Riduzioni simili nella crescita dei casi si possono ottenere con interventi meno restrittivi” (“(…) we find no clear, significant beneficial effect of [more restrictive] NPIs (non-pharmaceutical interventions) on case growth in any country (…) While small benefits cannot be excluded, we do not find significant benefits on case growth of more restrictive NPIs. Similar reductions in case growth may be achievable with less-restrictive interventions.”).
Anche nel nostro paese l’articolo ha avuto ampia visibilità e ha dato luogo a molte discussioni nei media. Fosse fondato quanto vi è sostenuto, nella memoria collettiva di questi lunghi e dolorosi mesi resterebbe la convinzione che i disagi causati dalle restrizioni siano stati inutili. Ma nel seguito di questo intervento mostriamo che ci sono buone ragioni per pensare che le restrizioni adottate in Italia per contenere la seconda ondata di contagi abbiano diminuito in modo considerevole i decessi.
Il confronto tra Lombardia e Veneto
A partire da inizio novembre 2020, il governo italiano ha varato un sistema di monitoraggio settimanale dell’andamento della pandemia “a colori”, sulla base del quale ha assegnato alle varie regioni italiane livelli di restrizioni crescenti.
Qui ci concentriamo in particolare sul caso di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e provincia autonoma di Trento. Si tratta di quattro aree confinanti, nelle quali vive circa un terzo della popolazione italiana: 10 milioni in Lombardia, 5 milioni in Veneto e in Emilia Romagna, mezzo milione in Trentino.
L’analisi di quanto è successo in queste regioni è particolarmente utile al nostro scopo perché nelle cinque settimane da inizio novembre a metà dicembre – il periodo critico per lo sviluppo della seconda ondata – sono state soggette a regimi molto diversi: tre settimane al livello rosso seguite da due settimane al livello arancione per la Lombardia; le tre settimane centrali del periodo al livello arancione per l’Emilia Romagna, seguite e precedute da settimane gialle; l’intero periodo al livello giallo per Veneto e Trentino (vedi figura 1).
Successivamente, a partire dal 24 dicembre e fino alla fine delle festività natalizie, le quattro aree – al pari delle altre regioni italiane – sono state soggette alle stesse restrizioni (e così pure per l’intero mese di gennaio, con piccole variazioni).
La figura 2 presenta l’andamento dei decessi settimanali in Veneto e in Lombardia da inizio ottobre fino a fine febbraio (le date sono quelle delle domeniche conclusive di ogni settimana). Per renderli comparabili, i morti lombardi sono stati riscalati al numero di abitanti del Veneto.
Fino alla fine di ottobre i decessi nelle due regioni sono pressoché uguali. Poi aumentano più rapidamente in Lombardia, fino alla prima settimana di dicembre. A partire dalla seconda settimana di dicembre i morti lombardi sono crollati: da 700 a 200 circa, nell’arco di tre settimane. In Veneto la crescita è continuata regolare, con un accenno di diminuzione nei primi giorni dell’anno, seguito da un calo a partire dall’ultima settimana di gennaio.
La differenza tra le due regioni inizia a manifestarsi circa un mese dopo l’inizio della zona rossa in Lombardia; si attenua un mese dopo l’inizio delle restrizioni di fine anno, comuni a tutte le regioni, fino a sparire del tutto.
L’area compresa tra la linea arancione e la linea blu tra il 6 dicembre e il 28 febbraio vale circa 3 mila decessi. Il Veneto ha avuto 6.170 morti nelle 13 settimane. Se – come ci sembra plausibile – le differenze osservate tra Lombardia e Veneto in questo arco di tempo sono attribuibili al diverso regime di restrizioni, 3 mila è una stima ragionevole dei decessi che sarebbero stati evitati se il Veneto fosse stato soggetto alle stesse restrizioni della Lombardia. Cioè, secondo questa interpretazione, circa la metà dei decessi osservati in Veneto in quel periodo sarebbe dovuta alla differenza tra zona rossa/arancione e zona gialla.
Per mettere alla prova la plausibilità della nostra spiegazione, in figura 3 mostriamo l’andamento dei decessi in Veneto comparati con quelli dell’Emilia Romagna (riscalati al numero degli abitanti del Veneto). I due andamenti sono pressocché sovrapposti fino alla prima settimana di dicembre. A partire dalla seconda, il profilo dell’Emilia Romagna si abbassa rispetto a quello veneto. I decessi delle due regioni ritornano ad essere comparabili a partire da fine gennaio. Anche in questo caso, la differenza tra le due regioni ci sembra facilmente attribuibile alla zona arancione istituita in Emilia Romagna nel periodo dal 15/11 al 5/12.
L’area compresa tra la linea arancione e la linea blu tra il 6 dicembre e il 31 gennaio vale circa 1.100 decessi: seconda la nostra interpretazione, sono quelli che sarebbero stati evitati se il Veneto fosse stato soggetto alle stesse restrizioni dell’Emilia Romagna. In linea con quanto ci si attende, l’effetto della zona arancione risulta essere inferiore all’effetto della zona rossa, ma tutt’altro che trascurabile.
Il terzo test che proponiamo per validare la nostra spiegazione confronta il Veneto con il Trentino, due aree soggette alle stesse restrizioni per l’intero periodo dal 6 novembre al 6 gennaio (in figura 4 i decessi del Trentino sono riscalati al numero degli abitanti del Veneto).
Tenuto conto che l’andamento osservato per il Trentino è più irregolare a causa della sua ridotta dimensione demografica (ha circa un decimo degli abitanti del Veneto), non si osservano particolari differenze: in entrambe le regioni il calo importante dei decessi avviene a partire dall’ultima settimana di gennaio, cioè quando si manifestano gli effetti delle restrizioni natalizie.
Morti evitabili
I fatti: regioni confinanti, con simili condizioni iniziali, soggette a diversi livelli di restrizione presentano evidenti differenze nel numero di decessi 3-4 settimane dopo l’inizio delle restrizioni. Per converso, nelle regioni confinanti soggette alle stesse restrizioni non si osservano differenze degne di nota nel numero di decessi. Le differenze tra regioni o province si attenuano fino a sparire quando invece vengono imposte restrizioni comuni a tutti. Troviamo analoghi risultati (qui omessi per brevità) comparando il Veneto alle altre due aree confinanti: Friuli Venezia Giulia e provincia autonoma di Bolzano.
Come sempre quando si studiano nessi causali usando dati non sperimentali, l’interpretazione dei risultati richiede cautela. In linea di principio, non si può escludere che sia possibile un’interpretazione diversa da quella che proponiamo. Tuttavia, questi risultati, abbinati a quelli relativi agli effetti del primo lockdown italiano ci fanno ritenere azzardate – a essere generosi – le affermazioni di coloro che negano gli effetti sui decessi delle misure adottate per contenere la diffusione del contagio (ma analoghi risultati valgono anche per i ricoveri in terapia intensiva).
Nella nostra interpretazione dei fatti – che abbiamo documentato – gli effetti ci sono e pure corposi: la nostra stima basata sul confronto tra zone confinanti dice che una parte rilevante dei decessi osservati in Veneto sarebbe stata evitata adottando restrizioni analoghe a quelle delle regioni vicine. In particolare, provvedimenti analoghi a quelli adottati in Lombardia nelle cinque settimane da inizio novembre a metà dicembre – i mesi critici per lo sviluppo della seconda ondata – avrebbero dimezzato il numero dei decessi registrati in Veneto tra dicembre e febbraio.
Enrico Rettore - professore ordinario di Econometria presso il Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Padova - Tratto da www.lavoce.info, per gentile cortesia