Airola, mons. Battaglia lava i piedi ai giovani detenuti: "Solo voi potete scegliere chi essere davvero"

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Lavanda dei piedi. Foto tratta dal webLavanda dei piedi. Foto tratta dal web

Per la prima volta, una delle celebrazioni del triduo pasquale della diocesi telesina si svolge in un istituto di pena.

“Anche se avete commesso errori, sappiate che la vita non coincide mai con gli sbagli: la vita è sempre più grande”. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato da mons. Domenico Battaglia ai giovani detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Airola dove il vescovo della diocesi di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti ha voluto celebrare la Messa in Coena Domini e la lavanda dei piedi nel giorno di Giovedì Santo.

Ad affiancare il vescovo, anche il cappellano e parroco di Airola don Liberato Maglione, la docente Concetta Bortone e gli studenti del Liceo di Scienze Umane del Fermi di Montesarchio che nell’Istituto portano avanti un progetto di Alternanza Scuola/Lavoro.

Un gesto senza precedenti. Infatti, per la prima volta una delle celebrazioni del triduo pasquale della diocesi telesina si è svolta in un istituto di pena con mons. Battaglia che ha deciso di chinarsi a lavare i piedi ai giovani detenuti. Un atto d’amore, che don Mimmo ha spiegato nell’omelia: “è lo stesso Dio che si china sulla nostra, la mia storia, la tua vita per dirci Ti amo. Il servo lava i piedi al padrone per dargli sollievo dalla stanchezza e tutti abbiamo bisogno di ristorarci, di trovare un senso alla nostra stanchezza. Quella stanchezza è la stessa pesantezza che voi vi portate dietro, e questo gesto che il Signore Gesù consegna a tutti sta a dire: sei importante, e lo sei non solo per la mia vita ma anche per la mia Chiesa”.

Dopo essersi cinto la vita con il grembiule, don Mimmo ha lavato i piedi a 12 ragazzi(simbolicamente a tutti) e ricordato loro che: “dal passato, dalla vita, ci si può sempre riscattare. Avete solo 20anni, abbiate il coraggio di lasciarvi amare. So che è difficile, ma sappiate che c’è sempre una luce che vi guida anche nella notte più tenebrosa”.

Non senza un pizzico di emozione, mons. Battaglia ha lanciato a quei giovani un appello accorato: “troppe volte alziamo muri perché riteniamo difficile lasciarci amare, e spesso rimaniamo soli. Dovete capire che gli amici veri sono coloro che vogliono il vostro bene e non i loro interessi”.

Non solo inviti, don Mimmo ha poi raccontato loro anche la storia di Rita, una ragazza sieropositiva del Centro Calabrese di Solidarietà, comunità dove il vescovo telesino per anni ha lavorato. Una storia di conversione. Una storia di coraggio, il coraggio dell’insistenza. Quella silenziosa, discreta, che non mina la tua libertà. Il coraggio dell’attesa e dei gesti, anche semplici. Poi l’aneddoto del piatto mandato in frantumi, dei tanti cocci da provare a rimettere insieme perché “sostituire il piatto è facile”. “Vi capisco – ha proseguito –  magari ora, vedete la vostra frantumata perché non avreste voluto viverla in questo luogo. Sappiate però, che questa vita non è né inutile, né sprecata. Voi non siete l’errore che avete commesso, né siete l’immagine che altri vorrebbero che voi foste. Avete tutta una vita davanti per riscattarvi e non date in appalto a nessuno la vostra coscienza, ci siete già cascati. Ricordate però che è possibile farlo solo se sceglierete di volerlo davvero. Solo voi, voi e nessun altro, potete scegliere chi vorrete essere davvero. E’ una vostra scelta. Ricordate che ricominciare è sempre possibile”.

Un momento forte, senza dubbio, bagnato non solo dall’acqua versata ma anche dalle lacrime dei presenti. Un momento di “primavera” e di rara bellezza. Quella bellezza che sgorga dall’inquietudine e dalla consapevolezza che non si tratta solo di suggestione ma di tremare per la vita degli altri, sapere che c’è qualcuno che scommette su di te nonostante tutto. Sapere che la follia è un atto d’amore e l’amore rende folli. Sapere che c’è una necessità concreta, una richiesta di speranza e che la speranza va condivisa, e organizzata, al pari dei nostri dubbi e delle nostre certezze.

“Era la prima volta che entravo in un carcere – ha testimoniato una studentessa del Fermi e frequentante il  terzo anno presente ieri nella struttura – e mi sono molto emozionata sia nel vedere i volti di questi miei coetanei, sia perché è stato molto toccante il racconto di don Mimmo. La mia emozione nasceva dal fatto che, guardando alcuni di quei volti, mi sono resa conto che da quella disperazione, apparentemente senza via d’uscita, è veramente sempre possibile ripartire”.

C’è dunque, sempre un punto dal quale poter iniziare a ricostruire. Si tratta però di volerlo, di sceglierlo in piena libertà: “Dalla vita – ha concluso don Mimmo – ci si può sempre riscattare se si crede nell’amore. Diamo una possibilità all’amore, quello vero, che è anche il senso della speranza”. 



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