Vita da svolgere e incollati al monitor: mettiamoci la faccia e l'impegno, anziché diffamare per invidia

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di Tiziana Nardone - Dal Quaderno Settimanale n. 585 - C’è un’aggressività tra i giovani francamente preoccupante. Il fatto che si macchino di ridicolo, con le loro analisi abbozzate, incapaci di riconoscere il merito dell’altro (magari, se fossero intelligenti, per carpirglielo), non riesce a sedare l’angoscia che si prova guardandoli, ascoltandoli.

Mi chiedevo da tempo perché alcuni fossero incapaci di vivere bene con se stessi, di portare avanti le loro scelte con onore. Non avevo ancora trovato risposta. Poi, ho iniziato a tracciare i particolari che li accomunano. Quella rabbia che covano, la voglia intrattenibile di diffamare l’altro hanno un perché: è l’insicurezza sociale che sono costretti a vivere.

Un animo atarassico è vanto di pochi. Allora, vedere frustrate ogni giorno le proprie aspirazioni, avere la legittima voglia di mostrare in pubblico, al gruppo sociale, le proprie capacità e vederla smorzata anno dopo anno producono, nei meno intelligenti, nei meno forti o nei più deboli, la rivalsa isterica.

Come fare a fargli capire che il loro nemico non è l’uomo, il compagno di studi, il collega, il capo, l’amministratore ma semplicemente la loro incapacità di forgiare una società a misura? La colpa è comune, non di un altro.

La società d’un tempo era più capace di formare: discussioni, contraddittori, gerarchia che obbligava a inserire il proprio pensiero in una corrente ma che proprio per questo induceva a faticare affinché quello stesso pensiero divenisse maggioritario, vita di sezione, di piazza rendevano possibile toccare con mano la vita.

Oggi, invece, l’agorà è virtuale. Siamo un ammasso di spioni in nome di Facebook. Io linko, scrivo una frase, allego un video e aspetto che qualcuno sollevi un pollice, che mi dia il suo consenso, il suo apprezzamento. Un popolo di smidollati, mendicanti dell’altrui approvazione.

I social network risultano utili e vincenti quando è il caso di veicolare idee nuove e aggregare, ma parliamo di grandi masse, non dei ragazzi del muretto di una scuola di Canicattì! C’è una seria incapacità di mettersi in gioco, chiusi nei recinti degli amici degli amici, con cui vituperare, nella speranza che qualcosa fuoriesca, ma non del tutto!

Un popolo di voyeur pronti a mettere in piazza le proprie vacanze, i propri amori passati e presenti ma che rimandano, invece, una solitudine terrificante! Chi ha la propria vita da svolgere non ha tempo di stare incollato al monitor monitorando gli altri 20 ore su 24. E molti non hanno una propria vita da condurre per questa società paralizzata da un’economia inesistente.

Mancano uomini preparati, amministratori che abbiano come obiettivo il bene comune e non il soldo particolare. La corruzione diffusa a livelli inimmaginabili è brama di potere non di denaro. Altrimenti alcuni, raggiunto il posto al sole, toglierebbero il disturbo. Invece sono ancora lì, sempre lì, perché devono uccidere, cancellare, rimanere i soli, i vincenti, i predatori. Che poi le prede, prediletta è stata la Cosa Pubblica, siano ormai depauperate di qualsiasi polpa, a loro interessa poco, il particolare soverchia l’universale.

Che fare? Formare. Ammortizzate queste due o tre generazioni di ‘sfigati’ spero profondamente che i genitori capiscano quanto sia importante pretendere un’istruzione seria, spero che provvederanno da soli a impartirgliela se la scuola dovesse continuare a esser lacerata a morsi come ora.

Spero in una mobilitazione collettiva che crei tante oasi di Barbiana. Spero che si smetta di ingenerare nei figli invidia sociale e che invece si diventi i più severi tutori della loro responsabilità. Spero che i ragazzi, pur non navigando nella certezza, sentano l’impulso di abbandonare casa di mamma e papà e di rischiare, sacrificandosi agli stenti che però tanto arricchiscono in capacità e, in non pochi casi, pure in successo.

Spero, soprattutto, che questa calda estate prosciughi il rancore personale. Mettiamoci a lavorare, ognuno traccerà una strada. Se poi la mia sarà sterrata e quella a lato asfaltata, a più carreggiate, a me non interesserà. Ma, se qualcuno continuerà a volerla invadere, a voler gettarci fango, allora con la pala lo solleverò.

Perché tutti dobbiamo avere la contezza della nostra validità o invalidità. Perché acconsentire alla diffamazione è non pretendere una società migliore. La mia che è poi anche la tua. Perché la viltà, l’appropriazione indebita vanno bollati e isolati. Perché io sono in strada a metterci la faccia, aspettando i pavidi.



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