Le poesie postume di D'Alessio
9:58:25 3401Venerdì 27 febbraio 2009, nell’auditorium “Santa Chiara” di Solofra, è stata presentata la plaquette di poesie “La sede dell’estro”di Antonio D’Alessio, poeta e musicista, promotore di arte e cultura nel territorio irpino. Antonio è scomparso precocemente dalla scena terrena il 9 settembre 2008 e la pubblicazione del libro è stata occasione di ricordo e riflessione: i proventi della vendita del libro sono stati destinati al Centro Tumori di Avellino. L’introduzione critica alle poesie è stata affidata al professor Paolo Saggese, la lettura delle poesie è stata curata dal regista Enzo Marangelo e le musiche al gruppo “Notturno Concertante” di cui lo stesso Antonio faceva parte. La sede dell’estro è un sincero ed appassionato dialogo con l’Altro e con la Vita. I versi sono i passi dolenti e coraggiosi al crocevia di una esistenza segnata dalla meditazione e dal tormento. Un sottile, inquieto malessere striscia sinuoso nella terra scura dell’anima e adombra gli occhi azzurromare del poeta adolescente che incide nel corpo vivo della scrittura l’angoscia, la rabbia, il disagio della giovane età e la sofferenza di una complessa situazione esistenziale: “sono in un brutto incubo/sto cercando/la porta per fuggire/alle mie /illusioni, delusioni, sofferenze” - egli rivela nella lirica iniziale, lasciando poi che il sussulto del dolore veli solo il fondo dei suoi pensieri nel prosieguo del cammino che vuole e deve percorrere.
Il cammino di Antonio è un percorso tortuoso, sul ciglio di un pentagramma imperfetto di sillabe ed emozioni, tra note e versi che sono e restano istinto vitale… “Camminando: e riascoltare /il mio cammino”…e il viaggio non ha solo la concretezza del movimento spaziale, né soltanto l’astrattezza della feconda immaginazione; il cammino di Antonio ha la grandezza dell’ascolto e del riascolto, laddove “pochi sanno ascoltare il vento” , ha la fiducia e la forza della crescita umana, la sensibilità e la profondità della mutazione che incastona l’essere nel disegno potente del Creato, quella stessa mutazione intuita e desiderata nel passo lirico iniziale, inseguita affannosamente nell’andare dei versi e compiuta poi nel volo finale quando l’essere si transustanzia e torna essenza di vita.
Per gli anfratti di questo cammino, il ragazzo e poi l’uomo, avanza deciso alla ricerca di sé, della gente e dell’amore e, sospeso a fili lucenti di parole, attraversa il rosso del tramonto che scintilla nelle crepe del cuore. Tante le emozioni vissute e narrate nel tumultuoso tratto di via. Nello specchio delle parole traspare l’amarezza “sono io una /carta/ sfruttata/ da gettare”, lo smarrimento “cosa/ faccio/ con i /piedi/ per /terra”, la fatica “sono stanco/ sono stanco come/un bambino dopo aver fatto/ i primi passi”, la solitudine “mi ritrovo da solo nei miei/stretti pantaloni/ cercando un / mondo di gente, /diversa…”, la mite ribellione “il piccolo cucciolo /(…) anche se stanco di leccarsi /le ferite, non si cala nelle leggi dell’uomo”, i sentimenti affettuosi “Bambina questo coretto l’ho/dedicato a te”, tanti, intensi frammenti di vita dipinti sul cielo chiaro dei fogli, offerti all’altro, l’essere che Antonio chiama all’incontro nella musica di questi bei versi: Raggiungeremo/l’universo stellato/questa sera/tramite quel letto/color denaro,/ e incideremo/il nome dell’uomo/sulle terre conquistate/da noi viaggiatori”
Antonio ci ha offerto il suo universo stellato e la tormentata ricerca che matura e fiorisce alle radici del Bene, ha offerto se stesso nel tramonto dei pensieri, e nell’evoluzione immanente del viaggio ereditiamo il suo sorriso e un ultimo dolce sussurro “scruto, e sono in volo,/cerco, e lì:/è andato/ e via, vado…” …è breve il mattino nel labirinto dei giorni, ma, nell’immensità del volo, i semi eterni della poesia maturano sicuri e consegnano la voce di Antonio D’Alessio e il suo inquieto sentire al respiro di nuove albe.
Emilia Dente
Alcune poesie da La sede dell’estro
Dormivo rilassato
sognavo di notte
le mie storie
sognavo quello
che poteva succedere
“morire”
“ma chi”
“io”
infatti
mi sono
svegliato di
colpo e ho trovato
un coltello sul mio cuore
Sono stanco,
sono stanco come
un bambino dopo aver fatto
i primi passi,
sono stanco di questo
tratto di vita e attimo
giornaliero di riflessione;
la mia stanchezza
passava tra le gambe di
una donna e
l’amore che ho donato
è stato un lungo
cammino pieno di esperienza.
Adesso ho i piedi
e il cuore che mi fanno
male.
Raggiungeremo
l’universo stellato
questa sera
tramite quel letto
color denaro,
e incideremo
il nome dell’uomo
sulle terre conquistate
da noi viaggiatori